STUDIO LEGALE MATRIMONIALE E CANONICO
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"Regolamento di competenze" in www.avvocatorosariacapozzi.it.

"Giurisdizione ecclesiastica e giurisdizione civile nell'ordinamento italiano. A proposito della vigenza del Concordato Lateranense (1929) e dell'accordo di Villa Madama (1984)", in Osservatorio Nazionale Sul Diritto DI Famiglia, n. 4 - luglio-agosto (2010), da p. 17 a p.24.

L'adempimento degli obblighi parentali. Luci ed ombre dell' art. 709 ter c.p.c.", in Osservatorio Nazionale Sul Diritto DI Famiglia, n. 1 - gennaio-marzo (2012), da p. 7 a p. 10.

M. AGOSTO - R. CAPOZZI. Formulario con schemi dei restricti e modelli di sillogismo probatorio per i capi di nullità del matrimonio canonico, FACOLTA' TEOLOGICA LUGANO, Eupress, Lugano 2013.
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Di Admin (del 16/01/2009 @ 12:23:10, in ARTICOLI, linkato 31411 volte)
  • Premessa
L’argomento da trattare è il regolamento della competenza tra il TO e il TpM, dopo l’entrate in vigore della L. 54/2006.
La Suprema Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi, dopo l’entrata in vigore della L. 54/2006, (recante le nuove disposizioni in materia di separazione dei genitori e affido condiviso dei figli) sul riparto delle competenze tra il TO e il TpM nelle controversie relative all’affidamento e al mantenimento dei figli naturali. Il quesito sottoposto in sede di regolamento di competenza concerne l’individuazione dell’organo giudiziario competente a conoscere dei procedimenti di affidamento dei figli naturali ed ad emanare i provvedimenti relativi al loro mantenimento. Il sistema vigente fino alla entrata in vigore della L. 54/2006 poggiava sul combinato disposto dell’art. 317 bis c.c. richiamato dall’art. 38 disp.att. c.c. Infatti l’art. 317 bis c.c. conferisce al giudice ampi poteri di disciplina dell’esercizio della potestà genitoriale, compresa quella di disporre l’affidamento nel caso della dissoluzione della unione di fatto sulla statuizione dell’art. 38 disp att. c.c. che stabiliva la competenza del TpM per l’emanazione dei provvedimenti di cui all’art. 317 bis c.c., rinviando alla competenza del TO per tutti quei provvedimenti non espressamente devoluti ad altra autorità giudiziaria. In tale sistema la competenza era ripartita in ragione del contenuto del provvedimento richiesto all’autorità giudiziaria(AG): il TpM era competente in materia di provvedimenti di affidamento dei figli naturali (art. 317 c.c. e ss c.c. e 38 disp att. c.c.), il TO per i provvedimenti relativi al loro mantenimento (art. 148 e 261 c.c.)

Con l’avvento della ordinanza n. 8362 del 22 marzo/3aprile 2007 la 1° sez.civ. della Suprema Corte di Cassazione ha introdotto una significativa innovazione nella sfera di competenza del TpM per le questioni relative all’affidamento e al mantenimento dei figli naturali.

  • Origini


Durante un giudizio instauratosi innanzi al TpM di Milano, la signora M.F, essendo venuta meno la convivenza col sig. M.S. dalla quale aveva avuto un figlio M.A., chiedeva al T adito l’affidamento dello stesso, con modalità di visita del minore col padre e di stabilire a carico dell’ex convivente un assegno di mantenimento in favore del minore. Il TpM, con decreto del 15 maggio 2006, si dichiarava incompetente a decidere, essendo competente il TO di Milano, motivando che la L. 54/06 avrebbe di fatto modificato la competenza del TpM, individuando nel TO il tribunale competente a decidere sulle materie concernenti l’affidamento, l’esercizio della potestà e il mantenimento dei figli naturali. Motiva tale sua decisione richiamando il contenuto dell’art 4 L.54/06, 2° co nella parte in cui prevede “l’applicazione ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati delle disposizioni della presente legge” il quale, secondo il TpM si riferirebbe non solo a norme di carattere sostanziale ma anche a norme processuali, incompatibili, però con il procedimento in camera di consiglio proprio del TpM. La nuova normativa, prevedendo una disciplina unitaria in materia di filiazione naturale – sull’affidamento dei figli, il diritto di visita, il mantenimento, l’assegnazione della casa coniugale – avrebbe di fatto abrogato l’art. 317 bis c.c., che rimarrebbe in vigore solo per le questioni residue, e ha stabilito la competenza del TO a decidere tutte le questioni riguardanti i figli sia di genitori coniugati che non, parificando così l’intervento giudiziario dei genitori di entrambi, sotto il profilo processuale e sostanziale.

Il TO di Milano ha chiesto d’ufficio, con ordinanza del 21 luglio 2006, regolamento di competenza in merito alla controversia, dichiarandosi incompetente, prospettando la competenza del TpM. Per il TO la nuova legge non contiene alcuna disposizione sulla competenza in ordine alle controversie relative all’affidamento dei figli naturali, ma ha voluto plasmare l’art. 317 bis c.c. che si arricchisce dei nuovi contenuti dell’art 155 c.c. modificato dalla L 54/06. Di contro nessuna variazione si sarebbe avuta quanto alla competenza funzionale del TO in materia, in merito alle controversie tra i genitori non coniugati per le questioni concernenti il mantenimento dei figli naturali che si continuerà a provvedere a norma dell’art. 148 c.c. con competenza del TO.

  • Nemesi storica precedente all’ordinanza della Corte di Cassazione 8362/2007


Più volte nel corso degli anni la Corte di Cassazione ha ribadito che competente a conoscere delle domande del genitore naturale di affidamento del figlio minore e di regolamento del diritto del genitore non affidatario è il TpM, mentre spetta al TO la competenza sulla richiesta di contributo al mantenimento del minore: competenza che essendo di natura funzionale è inderogabile, non trovando applicazione le norme sulla connessione (sez. I, 8 marzo 2002, n. 3457; sez. I, 15 marzo 2002, n. 3898). Tale ripartizione delle competenze tra il TpM e il TO nei casi di dissoluzioni delle unioni di fatto per i provvedimenti inerenti ai figli naturali ha superato lo scrutinio di legittimità costituzionale, in quanto la Corte costituzionale nel regime su menzionato ha ravvisato una scelta politica del diritto rientrante nella discrezionalità legislativa che non contrasta con il principio di eguaglianza e con la garanzia del diritto di azione. (La Corte costituzionale, nella sent. n. 451/97 sottolinea che la divaricazione delle competenze non si traduce in una diminuzione di tutela. La corte di Cassazione con successiva sentenza n. 166 del 1998 ha dichiarato manifestamente infondata una questione di costituzionalità avente ad oggetto il combinato disposto dell’art. 151 c.c., co. 1, e art. 155 c.c., nella parte in cui non disciplina la crisi della convivenza di fatto con le stesse regole previste per la famiglia legittima, impedendo l’applicazione del procedimento previsto dagli artt. 706 e ss. c.p.c. ai conviventi more uxorio con prole. I Giudici della Consulta, premettendo che la convivenza di fatto è frutto di una libera scelta dalle regole, per cui l’estensione di queste regole alla famiglia di fatto potrebbe costituire una violazione dei principio di libera determinazione delle parti, chiarirono che l’assenza di un procedimento per la crisi delle unioni di fatto con prole corrispondente alla disciplina della separazione dei coniugi, nel cui ambito è nata prole, era frutto di una politica legislativa che non determina la violazione dei principi costituzionali di cui agli art. 2,3,24 e 30 Costituzione).

  • L’ordinanza della Corte di Cassazione 8362/2007


La Suprema Corte ritiene che la novella non ha assolutamente voluto abrogare parzialmente l’art. 317 bis c.c. che avrebbe avuto l’effetto di determinare per trascinamento, la caduta del richiamo, agli effetti della competenza, contenuto nell’art. 38 disp.att., ma ne ha solo ampliato la portata per effetto della l. 54/06 in quanto si arricchisce dei suoi contenuti, trapiantando in essi i nuovi principi e le regole sulla potestà genitoriale e sull’affidamento condiviso, col fine di assicurare alla filiazione naturale forme di tutela identiche a quelle riconosciute alla filiazione legittima senza incidere quindi sui presupposti processuali dei relativi procedimenti, tra i quali la competenza. Ne deriva che l’art. 317 bis c.c. resta il referente normativo della potestà e dell’affidamento nella filiazione naturale anche in caso di fine della convivenza dei genitori naturali, nemmeno viene meno il binomio, agli effetti della competenza costituito dall’art. 317 bis c.c., co. 2, e art. 38 disp. att., c.c. co. 1. Pertanto il giudice minorile, chiamato a decidere su una questione concernente l’affidamento di un figlio di genitori non coniugati, dovrà, se possibile, applicare i dettami dell’art. 155 e ss novellati, che privilegiano l’affidamento condiviso e la bi genitorialità. Riguardo poi alle questioni economiche, attinenti sempre al mantenimento dei figli naturali, la Corte di cassazione si discosta sia dalle conclusioni espresse dal Tp.M che da quelle del TO e stabilisce che per i procedimenti riguardanti l’affidamento del figlio naturale rimane la competenza del TpM, stabilendo come criterio quello del simultaneo processo, precisando che quando vi è contestualità di domanda relativa all’affidamento e al mantenimento dei figli naturali, il giudice competente per entrambe diventa, per attrazione, il TpM. Sembrerebbe di contro in caso di sola richiesta di assegno di mantenimento per il figlio naturale rimanere la competenza del TO ex art. 148 c.c. Pertanto secondo la Corte il giudice specializzato adito ai sensi dell’art. 317 bis c.c. e dell’art. 38 disp.att. – arricchito dei contenuti della l. 54/06 - è chiamato ad esprimere una cognizione globale sull’affidamento e sui profili patrimoniali dello stesso. Tale principio non rappresenta una novità processuale in quanto la competenza del TpM è già applicata nella emissione delle sentenze dichiarative della filiazione naturale contemplate dall’art. 277 c.c. co. 2 il quale stabilisce che il G del reclamo della paternità e maternità dà anche i provvedimenti che stima utili per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione del figlio e per l’interesse patrimoniale di lui, nonché dall’art. 279 c.c..

Con tale decisione la Corte costituzionale ha ritenuto di non poter seguire la tesi del TpM di Milano secondo cui il sopraggiungere della l. 54/06, imporrebbe la competenza del TO anche ai procedimenti riguardanti i figli naturali, con le forme di cui agli artt 706 e ss. C.p.c., anzicchè di quelle camerali proprie dei processi minorili ex art. 38 disp att. co. 3. La Corte rileva che assoggettare la crisi della coppia di fatto alle regole processuali della separazione significa dare una interpretazione distorta della novella. Infatti attribuendo ai figli naturali la stessa tutela dei figli legittimi, anche processuale, si arriverebbe ad estendere ai genitori naturali in conflitto le regole della separazione giudiziale, comprensive della fase presidenziale. Invece lo spirito della l. 54/06 è quello di dettare regole di protezione dei minori nella crisi delle coppie di fatto, ma non anche di applicare alle suddette coppie la disciplina della separazione coniugale. Il legislatore rimane pertanto indifferente innanzi alla dissoluzione della coppia di fatto – che liberamente, d'altronde non ha voluto sottoporsi ad alcuna norma tutelata dal diritto – preoccupandosi esclusivamente dell’interesse dei figli. Il TpM di Milano avrebbe dunque ingiustamente inteso che il legislatore abbia con la novella esteso tutte le norme processuali contenute nella l. 54/06 ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati. La Suprema Corte ritiene che tale interpretazione non può essere applicata in toto ma solo in riferimento alle norme applicabili e compatibili con lo speciale rito che governa il procedimento che si svolge innanzi al TpM. Pertanto non nega che alcune norme processuali contenute nella novelle siano applicabili anche ai procedimenti relativi ai figli naturali quali ad esempio le norme sui poteri del G.I.: di accertamento della polizia tributaria sul patrimonio,e sui redditi dell’obbligato e sui bei oggetto della contestazione anche se intestati a terzi estranei alla lite; di audizione dei minori; e quelli ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c. in caso di gravi inadempienze o atti che arrechino pregiudizio al minore o ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento. Non sono invece applicabili le norme processuali sulla reclamabilità della ordinanza presidenziale ex art. 708 c.p.c co. 4, introdotto dalla nuova L. 54/06 che presuppongono lo svolgimento del processo nelle forme di cui agli art. 706 e ss. c.p.c.

Infatti la novella non ha voluto creare un modello processuale unico per i giudizi relativi all’affidamento dei figli di genitori coniugati e non. Per comprendere lo spirito della legge bisogna far riferimento agli atti preparatori della legge sull’affidamento condiviso, nonché ai dibattiti parlamentari per la sua approvazione. Sul punto si precisa che la deputata Carolina Lussana aveva presentato un emendamento volto a modificare l’art. 38 disp. att. c.c. al fine di attribuire la competenza al TO anche in riferimento all’affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, attraverso la creazione di un giudice unico per la famiglia e per i minori che ponesse fine alla discriminazione esistente tra i figli nati dal matrimonio, sottoposti alla giurisdizione del GO, e i figli nati fuori del matrimonio, di competenza del TpM. Tale emendamento è stato ritirato su invito del deputato relatore Maurizio Paniz su parere conforme del Governo, nella seduta del 7 luglio 2055 (Atti Camera- XIV Legislatura – Discussioni n. 652.)

Il principio espresso dalla Carte di cassazione con l’ordinanza anzidetta non ha quindi modificato la competenza del giudice che deve trattare la procedura prevista dall’art. 148 c.c per l’ottenimento della determinazione del solo assegno di mantenimento in favore dei figli naturali – competenza pertanto rimasta in capo al TO – quando non viene esperita contestualmente all’affidamento del figlio e all’esercizio della potestà genitoriale. Infatti tale competenza non rientra in quelle previste dall’art. 38 disp. att. c.c. Pertanto si può affermare che dopo l’emanazione della ordinanza della Suprema Corte vi sia una competenza “concorrente” di due organi giudiziari diversi, attribuibile ad entrambi gli organi giudiziari: al TO per la richiesta dei soli aspetti patrimoniali relativi al mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio o al TpM quando la richiesta investa entrambi gli aspetti, patrimoniali, dell’affidamento e del regime di visite. Secondo parte della dottrina (Filippo Danovi) così operando la Corte ha dato vita ad una sorte di competenza sucundum istantiam , differenziata a seconda che la domanda riguardi il solo tema economico, ovvero anche quello sull’affidamento, difficilmente sostenibile da un punto di vista sistematico e potenzialmente foriera di aporie, oltre tutto nel perdurare della vi genza dell’art. 148 c.c. (che continua a non essere richiamato dall’inalterato art. 38, co. 1 disp. att. c.c.). L’irragionevole regime di competenza sucundum istantiam, secondo il Danovi avrebbe come conseguenza che non esisterebbe più apriori un’unica autorità giudiziaria dotata della potestas decidendi per le domande di mantenimento dei figli naturali, ma una possibile alternativa, a seconda che le stesse siano proposte contestualmente alle domande sull’affidamento ovvero in via autonoma.

Pertanto “la L. 8 febbraio 2006, n. 54 sull’esercizio della potestà in caso di crisi della coppia genitoriale e sull’affidamento condiviso, applicabile anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, ha riplasmato l’art. 317 bis c.c., il quale, innovato nel suo contenuto precettivo, continua tuttavia a rappresentare lo statuto normativo della potestà del genitore naturale e dell’affidamento del figlio nella crisi dell’unione di fatto, sicchè la competenza ed adottare i provvedimenti nell’interesse del figlio naturale spetta al tribunale per i minorenni, in forza dell’art. 38 disp. att. c.c., comma 1, in parte qua non abrogato, neppure tacitamente, dalla novella. La contestualità delle misure relative all’esercizio della potestà e all’affidamento del figlio, da un lato, e di quelle economiche inerenti al loro mantenimento, dall’altro, prefigurata dai novellati artt. 155 e ss. c.c., ha peraltro determinato – in sintonia con l’esigenza di evitare che i minori ricevano dall’ordinamento un trattamento diseguale a seconda che siano nati da genitori coniugati oppure da genitori non coniugati, oltre che di escludere soluzioni interpretative che comportino un sacrificio del principio di concentrazione delle tutele, che è aspetto centrale della ragionevole durata del processo – una attrazione, in capo allo stesso giudice specializzato, della competenza e provvedere, altresì sulla misura e sul modo con cui ciascuno dei genitori naturali deve contribuire al mantenimento del figlio”. Tale orientamento è stato confermato con le successive sentenze della Cassazione pronunciate dalla I sezione civile e precisamente: ordinanza del 20 settembre 2007 n. 19406; ordinanza 25 settembre 2007 n. 19909 e ordinanza 7 febbraio 2008, n. 2966.

  • Dopo l’ordinanza della Corte di Cassazione 8362/2007


La decisione della Cassazione non ha tuttavia sanato integralmente i contrasti interpretativi, infatti il Tribunale di Siena con ordinanza dell’11 gennaio 2008 ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, co. 2 l. 54/06 rilevando che l’assoggettamento al rito camerale per le questioni inerenti sia l’affidamento dei figli naturali, che il loro mantenimento, tipico della volontaria giurisdizione comporta una limitazione di garanzie processuali che può tradursi in una disparità di trattamento, rispetto alla tutela dei minori nati all’interno del matrimonio, per i quali è assicurata la garanzia processuale propria del rito ordinario. Sotto tale aspetto potrebbe sussistere contrasto con l’art. 24 della Costituzione. Vi sarebbe quindi disparità costituzionale sotto il profilo delle garanzie costituzionali del diritto di azione.

La disparità delle competenze confligge anche col principio della concentrazione delle tutele la cui rilevanza costituzionale (art. 111 Costituzione) sarebbe contenuta nel principio di ragionevole durata del processo. Ciò si manifesta nel caso in cui, a seguito della dissoluzione della famiglia di fatto in cui vi sono figli naturali minorenni e maggiorenni, ma ancora non economicamente autosufficienti, i genitori sono costretti ad adire il TpM per i figli minori e il TO per gli altri, portando di fatto ad una potenziale ulteriore frammentazione delle tutele nell’ipotesi di compresenza nella famiglia di fatto in dissoluzione di figli minorenni e maggiorenni.

Appare dunque per il Tribunale di Siena, costituzionalmente corretto, affermare l’esigenza della unicità delle competenze in tema di tutela dei figli indipendentemente dalla natura del rapporto esistente tra i genitori al momento della loro separazione e cioè indipendentemente dalla condizione di figli nati fuori dal o nel matrimonio.
La dicotomia delle competenze risulta in violazione dell’art. 111 della Carte Costituzionale anche sotto un altro aspetto. In quanto vi sarebbe una disparità di trattamento circa il sistema di impugnazioni avverso i provvedimenti provvisori. Infatti mentre per i figli nati dal matrimonio è possibile il ricorso alla Corte di Appello in sede di reclamo ex art. 708, co. 4, c.p.c., e quindi alla Corte di Cassazione, lo stesso procedimento non è consentito ai figli nati fuori del matrimonio, per i quali è inammissibile il ricorso per Cassazione avverso il decreto della Sezione Minori della Corte di Appello, che decide in sede di reclamo. (Argomento questo peraltro discutibile in quanto la decisione emanata in sede di reclamo dalla Corte di Appello non risulta ricorribile in Cassazione in quanto mancante del carattere della definitività, poiché i provvedimenti presidenziali reclamati possono sempre essere confermati, modificati o revocati nelle causa di separazione o divorzio dal Tribunale nella sentenza definitiva o addirittura secondo parte della giurisprudenza in corso di causa)

La ordinanza del tribunale di Siena può essere così sinteticamente commentata.

  • L’intento del legislatore è stato quello di accordare uniformità alla disciplina giuridica della filiazione legittima e di quella naturale. Intento pienamente realizzato, come detto, sotto il profilo sostanziale ma non certamente processuale.
  • Nemmeno può dirsi col giudice senese che dai lavori preparatori si può dedurre un chiaro intento di accorpare in capo al GO l’intero contenzioso relativo ai figli naturali, in quanto, come già detto, sono stati ritirati gli emendamenti in tal senso presentati.
  • Sulla censura di incostituzionalità rispetto all’art. 24 Cost. nulla questio circa la vecchia e annosa questione dell’adeguatezza del giudizio camerale rispetto alla tutela dei diritti in materia contenziosa (quali l’affievolimento del diritto di difesa; l’esecutorietà dei provvedimenti; la loro stabilità e la garanzia delle impugnazioni).


Conclusioni Il problema comunque non sembra di facile soluzione in quanto possono verificarsi ipotesi complesse; quali ad esempio quella in cui a seguito della fine di una convivenza di fatto intervenuta anni addietro ed in presenza già di un provvedimento ex art. 148 cc con il quale si stabiliva un assegno di mantenimento a carico del genitore non affidatario in favore del figlio, il genitore affidatario del minore con il quale convive – a causa di fatti nuovi ed intervenuti dopo l’emanazione del provvedimento di cui sopra – voglia chiedere solo la modifica dell’assegno e a tal fine si rivolge al TO; l’altro genitore, instaurando una controversia in relazione all’affidamento, potrebbe portare innanzi al TpM anche il problema economico speculativamente, richiedendo contestualmente la diminuzione dell’assegno. In tal caso dovrebbe configurarsi continenza tra i rispettivi thema decidenda dei due processi e la causa dovrebbe essere attratta al Giudice minorile. Ragionando diversamente, il Giudice Minorile potrebbe scorporare le domande e rimettere la causa inerente il mantenimento al GO preventivamente adito. Le difficoltà di coordinamento sarebbero innegabili.

In ultimo è da tenere presente che per prassi consolidata il TpM privilegia l’aspetto relativo all’affidamento e alle modalità di visita del minore, lasciando in secondo piano l’aspetto economico. Al contrario il provvedimento ex art. 148 c.c. prevede una maggiore celerità e viene emanato da un Giudice Unico. Pertanto l’evitare la duplicità dei procedimenti – innanzi al TpM e a quello ordinario – non raggiunge l’obiettivo di eguagliare il trattamento dei figli naturali da quelli nati nel matrimonio in quanto i provvedimenti presi innanzi al TO sono regolati dagli art. 706 ss. che prevedono l’emanazione dei provvedimenti provvisori ed urgenti, norme purtroppo non previste per i procedimenti instaurati innanzi al TpM.

Le considerazioni sopra esposte dovrebbero condurre ad una maggiore riflessione sulla materia anche da parte dei Giudici della Corte costituzionale, in attesa di una più ampia riforma che preveda l’istituzione del Tribunale della famiglia con la creazione quindi di un GU che possa finalmente porre fine alla discriminazione comunque esistente tra figli nati dal e fuori il matrimonio.

Avv. Rosaria Capozzi
 
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